L’Orchestra Multietnica di Arezzo e Matteo Croce cantano Baraye

La canzone di Shervin Hajipour, diventata l’inno delle proteste del popolo iraniano, arriva in video in un originale arrangiamento multilingue

Arezzo (AR)

    Ha vinto ai recenti “Grammy Awards 2023” nell’esordio della categoria “Miglior canzone per il cambiamento sociale”. Ha raccolto oltre 40 milioni di visualizzazioni in soli due giorni dalla pubblicazione prima d’essere sottoposta a censura. È la storia, in breve, di una canzone, di una parola, “Baraye” in lingua farsi, “Per” in italiano, tradotta in canzone dal musicista iraniano Shervin Hajipour e diventata, in poche ore, nonostante la censura e l’arresto dello stesso Hajipour, l’inno delle proteste del popolo iraniano iniziate lo scorso settembre a seguito della morte della giovane Mahsa Amini.

    Una versione multilingue della canzone del venticinquenne Hajipour, che ricordiamo nata dalla raccolta dei messaggi che iniziano con la parola “baraye” pubblicati dagli iraniani nel corso della protesta, sarà rilasciata online il prossimo 8 maggio alle ore 11 grazie alla collaborazione tra il cantautore Matteo Croce e l’Orchestra Multietnica di Arezzo. L’originale versione, arrangiata da Enrico Fink su testo tradotto in italiano dallo stesso Croce, sarà presentata in diretta dagli studi di Radio Fly, partner dell’iniziativa insieme a Officine della Cultura, per ribadire con forza il valore di alcuni, preziosi, “per” tra i quali “per le donne, per la vita, per la libertà”.

    «“Baraye” è una canzone che dovremmo tutti far propria e che siamo lieti, come OMA, per quello che rappresenta il nostro cammino musicale e il nostro impegno etico e sociale, di poter suonare e cantare - queste le parole di Luca Roccia Baldini, Presidente dell’Orchestra Multietnica di Arezzo -. Per questo abbiamo aderito senza esitazione all’invito di Matteo Croce, di farne una canzone condivisa, con la sua sensibilità, con i nostri musicisti, con le loro lingue e culture, con la stessa imprescindibile esigenza di libertà, cercando di dare voce alle proteste in Iran ma di volgere lo sguardo anche in ogni altrove in cui la libertà è offesa».

    Matteo Croce racconta così il suo incontro con “Baraye”: «Quando ho sentito per la prima volta la storia di questa canzone sono rimasto folgorato. Ci sono tantissime cose in ballo: un ragazzo mio coetaneo che si espone con coraggio in un sistema fortemente repressivo, una canzone che in poche ore diventa virale e si eleva a colonna sonora di una delle più grandi proteste della nostra epoca, il fatto che ancora oggi, tra milioni di innocue canzonette di plastica, la musica sia in grado di animare coscienze e turbare i pilastri del Potere, la solidarietà di artisti internazionali… poi, la solita, ormai consueta stizza nel rilevare quanta poca empatia ci sia in noi occidentali per eventi che si verificano a una certa distanza geografica e culturale dalla nostra bolla. In Iran sta davvero succedendo qualcosa di epocale. Quelle proteste non riguardano solo quel paese, possono essere un’ispirazione contro ogni regime dittatoriale e autoritario, contro ogni forma di segregazione di genere, di credo, di etnia. Il motto degli attivisti iraniani “Donne, Vita, Libertà” dovrebbe essere un mantra universale. C’è tutto, in quelle tre parole. Mi auguro che quest’iniziativa con l’OMA possa contribuire a dare risonanza a certe battaglie, almeno qui in Italia».

    Fonte Notizia
    Officine della Cultura

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